Sono passati 27 anni dal 1992, anno in cui abbiamo sognato e ci siamo commossi leggendo Robot NDR-113 di Isaac Asimov (noto ai più come il film L’uomo bicentenario interpretato da un magistrale Robin Williams).
I robot che assumono caratteristiche tipiche degli esseri umani - non solo nell’aspetto ma anche nel modo di interagire - sono una delle fantasticherie più ricorrenti nella letteratura del XX secolo.
Se fino a qualche anno fa queste rimanevano elucubrazioni di qualche scrittore o regista visionario, oggi i bot dall’approccio umano stanno diventando realtà. Pensiamo all’assistente Google che al “Buongiornissimo” ci risponde con “Kaffèèèè?” o che all’affermazione “Sono tuo padre” (N.B. e non “Luke, sono tuo padre”) si scusa per non essere Luke Skywalker.
Assistenti come Google, Alexa e la ormai fu Cortana rappresentano esempi molto complessi e raffinati di intelligenza artificiale ma, senza andare a complicare eccessivamente il proprio lavoro, è possibile creare facilmente dei bot e farli interagire con il pubblico.
Un esempio molto essenziale è il chatbot di MalEdizioni che, nel momento in cui un utente inizia a seguire la pagina, ti invita a seguirlo anche su Instagram con la promessa di non inviarti più messaggi (cosa non troppo vera, ma questa è un’altra storia).
Secondo una ricerca effettuata da Juniper Research, si prevede che i chatbot favoriranno una riduzione dei costi dedicati al marketing di circa 8 miliardi di dollari entro il 2022.
Sempre secondo gli stessi dati, entro il 2020 oltre il 90% delle aziende avrà adottato i bot come mezzo di comunicazione: questo significa che l’era del conversational marketing è già in corso. Rimandare a domani ciò che si può fare oggi significa perdere un vantaggio competitivo.
Guardando ai dati forniti da HubSpot, possiamo notare come già ora il 47% degli utenti comprerebbe senza problemi un articolo da un chatbot al posto di utilizzare un altro canale. Se già in questo momento i bot sono in grado di ottenere così tanta fiducia da parte dei consumatori, nel futuro cosa saranno in grado di fare?
Sì, o meglio, in alcuni casi. I chatbot ci aiutano a raggiungere degli obiettivi ben precisi grazie alla loro presenza costante sui nostri canali di comunicazione. Che siano sui social o sul nostro sito la cosa non cambia, un bot risponde immediatamente 24/7: cosa molto importante per tutti gli utenti ma che, a noi umani, risulterebbe molto complessa e dispendiosa dal punto di vista economico.
Tra i target che possiamo colpire grazie a questo concentrato di intelligenza androide troviamo la generazione di lead (in gergo: lead generation). In altre parole, si tratta della raccolta dati dei nostri prospect in cambio di materiali utili e offerte ad hoc al fine di conoscerli meglio e ricalibrare la propria strategia di marketing.
Osservando i dati raccolti da una ricerca di InsideSales e Harvard Business University, avviare tempestivamente una comunicazione con un utente dopo che ci ha contattati è fondamentale per una lead generation efficace. Questo è specchio di un pubblico che non ha nè tempo nè voglia di aspettare una risposta: la pretende subito.
La percentuale di lead acquisiti - come si può notare dal grafico - subisce un calo drastico a partire di 10 minuti di attesa in poi. Un chatbot permette di ovviare al problema del tempismo fornendo una risposta rapida che manda un segnale implicito del tipo “ho ricevuto il tuo messaggio, prendo in carico la tua richiesta subito perché sei importante per la mia azienda”.
Partiamo dalle fondamenta del conversational marketing ovvero: come si progetta un chatbot? Ci sono diversi metodi: per i più smanettoni esistono Python e Javascript, due linguaggi di programmazione: il vantaggio di questo sistema è che è possibile realizzare un bot completamente custom. Lo svantaggio è che i tempi di progettazione sono molto lunghi e che tutti i problemi devono essere necessariamente gestiti internamente.
In alternativa, esistono delle piattaforme per portare a termine questo compito: una di queste, ad esempio, è HubSpot ma ce ne sono molte altre sia gratuite sia a pagamento (le versioni free, in genere, sono meno personalizzabili e adatte per iniziare a sperimentare). Il vantaggio è che tutta la parte di programmazione degli elementi viene gestita in outsourcing per cui, nel caso ci fossero dei problemi tecnici, si potrebbe avere il supporto degli sviluppatori.
Scelto l’approccio alla costruzione del bot, risulta utile portare a termine un audit delle cosiddette F.A.Q. (Frequently Asked Questions) per capire quali sono le domande principali a cui dovrà rispondere la nostra intelligenza artificiale. Terminato l’audit non resta che creare i diversi percorsi di conversazione che cambieranno a seconda del nostro scopo (in questo caso, la lead generation).
Per fare lead generation con i bot non si può partire dicendo: ”Ok, come prima interazione rimandiamo l’utente ad una landing page così compila il form e il gioco è fatto”. Non conosciamo chi abbiamo davanti: in che modo potremmo consigliargli qualcosa di utile e rilevante per i suoi interessi?
Partiamo da una cosa semplice come “Ciao! Sono EsempioBot, il bot di [NOME AZIENDA]. Tu come ti chiami?”. In alternativa, se sappiamo già il nome, potremmo optare per qualcosa di più mirato per conoscere i gusti del nostro utente del tipo: “Ciao! Sono EsempioBot, il bot di [NOME AZIENDA]. Mi chiedevo… Quale di questi temi reputi più importante?”. Potremmo inserire dei bottoni con risposte chiuse per facilitare l’interazione con il bot e, a seconda della scelta, cambiare i path di conversazione.
Facendo un esempio, ipotizziamo che l’utente scelga come risposta “Content Marketing”; la conversazione potrebbe proseguire nel seguente modo.
Bot: Fantastico! L’80% delle aziende che fa content marketing vede un miglioramento dei contatti generati: è una grande opportunità. Vuoi avere qualche consiglio per cominciare?
Utente: Sì, spara!
Bot: Prima di cominciare fai un’analisi approfondita del tuo target per capire quali sono i reali interessi dei prospect che vuoi raggiungere. Puoi trovare qualche consiglio utile qui LINK.
Ti va di ricevere altre pillole per migliorare la tua strategia? Prometto di non disturbare.
E così via. Un buon chatbot deve chiedere il permesso e non intromettersi mai nelle scelte del singolo utente: una specie di Ambrogio al servizio della persona con cui ci troviamo a conversare. Una volta che conosciamo meglio l’utente e sappiamo quali sono i suoi interessi, possiamo iniziare ad inviare qualche offerta o materiale in linea con la fase del buying journey in cui si trova.
Il lavoro di nurturing è lungo ma necessario: tutto ciò che fai ora saranno ore di lavoro in meno nel momento in cui dovrai chiudere quel cliente tanto più che, da oggi, puoi avere un alleato cibernetico al tuo fianco che ti aiuterà a portare al tuo team vendite dei contatti più caldi e vicini all’acquisto.