“Scarica l’ebook”, “richiedi una demo”, “inizia una prova gratuita”. Forse non te ne sei mai reso conto, ma quelle sulle quali hai sempre cliccato, invogliato un po’ dalla facilità dell’azione, un po’ dai colori e un po’ dalla convenienza dell’offerta, non sono altro che delle call-to-action.
Abbreviabili con CTA, le “chiamate all’azione” sono dei veri e propri inviti a compiere determinate attività: esse hanno scopi ben precisi, non solo per l’utente ma anche per chi, dall’altra parte, offre un servizio.
Doppio fine
Nell’ottica dell’Inbound Marketing, infatti, una call-to-action fa parte di quelle tecniche che permettono a un utente che sta visitando un sito o un blog di convertirsi, dopo l’approdo su una landing page, in un lead, dando così avvio a quel processo che prende il nome di lead generation. In cambio, il contatto che accetta di effettuare questa operazione riceve qualcosa: un prodotto materiale o un supporto nella realizzazione di un’attività, il tutto con estrema attinenza al prodotto che il sito su cui si trova sta veicolando.
Le buone pratiche
Fino a qui può sembrare tutto molto empirico, ma di call-to-action ne avrai viste sicuramente tante in vita tua. Questo perché sono elementi grafici onnipresenti, facili da produrre, ma soprattutto da utilizzare. Come riconoscerle? È semplice: si configurano come grandi bottoni dall’aspetto e dai colori più disparati. Di solito si preferiscono CTA armoniche con lo spazio che le circonda, non troppo grandi, ma nemmeno troppo piccole e dalla forma preferibilmente rettangolare od ovale. Un’altra caratteristica che le contraddistingue, poi, è quella di avere al loro interno brevissimi periodi con verbi coniugati all’imperativo che invitano a compiere un’azione. Anche in questo caso ci sono regole importanti da seguire, come per esempio quella di non scrivere con colori indecifrabili o di inserire testi troppo lunghi e articolati.
Non solo. Di solito una CTA è posta alla fine di un testo, perché solo dopo averlo concluso una persona può disporre di informazioni sufficienti per decidere se approfondire o meno l’argomento. Tuttavia, nel caso di un testo particolarmente lungo, le call-to-action si possono moltiplicare, inserendone così più d’una nel corso dello sviluppo dell’articolo. Farlo non solo aumenterà la possibilità che il tuo bottone venga cliccato, ma permetterà anche al lettore di non dilungarsi troppo sui contenuti qualora avesse già deciso di passare allo stallo successivo già prima della fine del testo.
Gli strumenti per realizzarla
Bene. Ma come si fa a crearne una? Esistono diversi tool che ti aiutano con la grafica e con l’inserimento in un messaggio tanto conciso quanto soddisfacente. In ogni caso, quando ti appresti a realizzarne una, attieniti il più possibile alle regole elencate sopra: muoversi a tentoni o “a sentimento” non ti porterà da nessuna parte. Anzi, il rischio di perdere tempo (e, in qualche caso, anche denaro) per realizzare un prodotto che non ti servirà a nulla è alto.
Ora che hai letto appreso tutto quello che c’è da sapere sulle call-to-action, non rimane che realizzarne una. Ma presta attenzione. Prima di iniziare, infatti, c’è un’ultima cosa che devi sapere: si tratta di una differenza sostanziale tra due tipi di CTA molto diverse tra loro. Stiamo parlando di CTA primarie e CTA secondarie.
Primarie e secondarie
Entrambe chiamano all’azione, entrambe sono atte a convertire gli utenti in lead, entrambe offrono qualcosa a chi le clicca. Ma quindi, che differenza c’è tra di loro? La CTA primaria è un messaggio univoco veicolato tramite un bottone, che a sua volta viene inserito all’interno di un testo. Meno articolata (ma non per questo meno efficace) di una CTA secondaria, quella primaria ha un testo che, per sua natura è fondamentale ai fini della sua ricerca. La CTA secondaria, invece, consiste nella frase collocata appena dopo il primo paragrafo del testo di una campagna, contenente a sua volta eventuali link da cui scaricare materiale premium oppure che rimandano a una landing page o ai profili social del brand.